La storia del piccolo villaggio di Peio ha un profondo legame con la pecora.
A dire la verità, a partire da oltre diecimila anni fa pecore e capre sono state alla base del sostentamento di moltissime comunità umane. Furono domesticate per la lana, le pelli, le carni e successivamente per il latte. L'allevamento di ovini e caprini si è diffuso nel tempo e nello spazio in vaste aree del globo, approfittando della grande rusticità e adattabilità di questi animali. Sono state selezionate e create razze in grado di tramutare pendii impervi, sterpaglie, zone aride, arbusti spinosi, versanti incoltivabili in ricchezza. Sì, perché capre e pecore non temono le rocce e i versanti scoscesi, anzi ci trovano riparo. Lì dove qualsiasi coltivazione sarebbe impossibile e dove i bovini sarebbero in difficoltà, loro riescono a nutrirsi. Non basterebbero mille pagine per raccontare la storia simbiotica di uomo e ovicaprini. Quello che voglio raccontare, in poche righe e con qualche fotografia, è appunto del rapporto uomo-pecora e uomo-capra oggi, in un paese trentino di nome Peio.
Peio si trova a quasi 1600 metri di quota, nell'omonima valle, che domina dall'alto. Il villaggio è adagiato in una sorta di anfiteatro incastrato sul ventre della Taviela e controllato dal Vioz, vette di circa 3600 metri facenti parte del gruppo montuoso dell'Ortles-Cevedale.
A Peio non incontrerai enormi greggi transumanti. A Peio non esistono grandi allevamenti. Anche se si sta affievolendo sempre di più la tradizione, in questo villaggio esistono famiglie che posseggono ancora pochi capi, dai quali trarre qualche agnello da vendere o, nel caso delle capre, un po' di latte. Lo stesso vale per i bovini. Salvo in alcuni casi in cui i proprietari detengono un certo numero di animali per ricavarne del reddito, altri mantengono la tradizione per il gusto di farlo, per un senso d'identità che si vede minacciato dalle facilitazioni del progresso e dalle pressioni economiche degli allevamenti intensivi. Testimonianza della tenacia dei pegaesi è il permanere di uno degli ormai rarissimi caseifici turnari. Il caseificio turnario era infatti un simbolo del senso di comunità: per riuscire ad avere il latte sufficiente per una caserada, ogni famiglia convogliava qui il latte prodotto dai pochi animali posseduti. Sommando i piccoli quantitativi, si raggiungevano gli ettolitri di latte necessari per la produzione di formaggi, burro e ricotta. In cambio, ogni caserata era, a turno, di proprietà di uno dei soci del caseificio a seconda della quantità di latte conferita. L'apoteosi del senso di comunità e aiuto reciproco che caratterizzava i paesi di montagna. A Peio funziona ancora così, anche se ormai i soci si contano sulle dita di una mano. Ormai non vale più la pena avere pochi capi di bestiame, considerato l'impegno che prevede questa attività. Ora anche allevatori di fuori valle portano a Peio alcuni capi per trascorrere l'alpeggio estivo e contribuiscono a tenere in piedi la tradizione.
Fino a pochi anni fa, a Peio si poteva assistere a un evento genuino e spettacolare: il rientro delle pecore in paese per la tosatura autunnale. Non era l'ormai consueta e artificiosa "desmalgada", manifestazione creata il più delle volte per fare turismo e senza una vera anima storica. A metà settembre le pecore venivano fatte scendere nella piazza del paese e raccolte in un recinto, dove ogni proprietario cercava i propri animali per portarli a casa. La "cattura" delle pecore talvolta aveva le sembianze di un rodeo. I forti belati, le campanelle al collo, le grida dei paesani che suggerivano ai proprietari dove rintracciare i capi, animali che saltavano, uomini e donne che correvano, legavano le pecore e le trascinavano sui trattori o a piedi tra le vie del paese in un caos d'altri tempi. Poi, una volta ripristinata la calma, iniziava la tosatura nelle stalle dei masi di paese. Qualcuno tosava ancora con le forbici.
Col tempo, i proprietari sono diminuiti, i tempi sono cambiati e, quella che una volta era una normalissima attività tradizionale, agli occhi della modernità è diventata una violenza ingiustificata sugli animali. Inoltre ora i mezzi meccanici rendono nettamente più rapida la tosatura direttamente in alpeggio e non è più necessario far scendere in paese gli animali per poi farli ritornare alla malga. Per questo motivo negli ultimi anni si effettua la tosatura delle pecore direttamente nella malga di Covel, a 1800 metri, salvo alcuni capi portati in paese per una tosada dimostrativa.
Quest'anno mi è capitato di accompagnare alcune persone ad assistere alla tosada e successivamente fermarmi alla festa organizzata in paese, con tanto di pranzo a base di pecora, balli e mercatini. Come spesso accade a metà settembre in Val di Sole, pochi turisti e molti locali. Tra l'altro era una giornata nebbiosa con una fine pioggerellina, di quelle che ti lasciano indeciso fino all'ultimo se aprire l'ombrello oppure no. Il risultato è sempre il solito: umidità fino alle ossa. In realtà non era altro che una classica - ormai rara - giornata autunnale. La compagnia era allegra, con bambini dalle giacche sgargianti. Nel piccolo gruppo di partecipanti anche la regista Anna Kauber, autrice del docufilm "In questo mondo", che racconta la vita di donne pastore di tutta Italia. Con lei è stato piacevole conversare sul futuro delle "terre alte", sullo spopolamento, sulle opportunità che potrebbe offrire la montagna superando questa fase del suo consumo intensivo.
Alla malga Covel trovammo Elena, la presidente della società degli allevatori di pecore di Peio, che ci invitò ad assistere alla tosatura con moderne tosatrici. Allevatori, pastori e tosatori professionisti erano all'opera. C'era chi divideva le pecore secondo il proprietario, chi avvicinava l'animale al tosatore e lo preparava con una sorta di sgambetto - mi ha sorpreso vedere la scarsa resistenza che opponevano gli animali, forse per abitudine forse per rassegnazione - chi appuntava sul foglio i dati della marca auricolare dell'ovino. E naturalmente c'era chi tosava sapientemente, con grande velocità e senza ferire gli animali. I pastori raccoglievano la lana e la ponevano in enormi sacchi. Elena ci raccontò che il lavoro li avrebbe tenuti impegnati tutta la giornata. I tosatori, per evitare di spezzarsi la schiena dalla fatica - immaginate rimanere piegati per ore - si appendevano dondolando col petto su una sorta di altalena elastica. Un agnellino vagava per la stalla in cerca della madre, ma in quel momento era più sicuro per lui rimanere distante.
Ritornando in paese, incontrammo il pastore col gregge di capre, protette da amichevoli cani da pastore e da guardiania. Le capre scomparivano nella nebbia, solo i campanelli erano in grado di dare un'idea della quantità di animali presenti. Giunti a Peio, dopo un delizioso pasto tipico a base di pecora, abbiamo osservato le mani sapienti di alcuni pegaesi intenti a tosare con le forbici, come una volta. Le forbici possono essere pericolose, per questo le pecore vennero legate saldamente e lentamente spogliate del caldo vello. Nei gesti dei proprietari si scorgevano passione, precisione, destrezza ed esperienza. Erano custodi di piccoli movimenti che probabilmente andranno persi.
La speranza però è veramente dura a morire. Ne è un esempio Viola, che insieme al fratello, alla madre e alla nonna utilizza la lana di Peio per la creazione di maglioni, berretti e tanti altri indumenti. La lana per anni è stata gettata come rifiuto, poiché il valore sul mercato era praticamente nullo. Ora viene almeno recuperata e utilizzata dalla maglieria La Lana Lunatica. Inoltre in Val di Peio è attivo un ecomuseo, che ha lo scopo di mantenere viva la memoria di quel "Piccolo Mondo Alpino", come esso è stato intitolato. A concludere la giornata, il già citato docufilm "In questo mondo". Difficile trattenere le lacrime dall'emozione di un'opera speciale che tratta di un lavoro speciale, quello delle pastore dei nostri giorni, con tutte le difficoltà e le speranze in cui sono immerse.
Le fotografie sono state scattate con una Pentax ME Super e obiettivo 50mm f/1.7 su pellicola Washi 500D. Questa deriva da una pellicola sviluppata per l'esercito russo per la fotografia aerea. Crea dei contrasti fortissimi che in quella giornata nebbiosa e scura hanno reso alla grande. Ho scattato in situazioni di scarsissima luminosità a mano libera.
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